Il ruolo dei Patient Support Programs nella gestione delle malattie rare
Le malattie rare sono patologie che, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, riguardano lo 0,05% della popolazione mondiale, quindi 5 malati ogni 10.000 persone: circa 30 milioni di casi sono in Europa, di cui almeno due milioni in Italia, con 19.000 nuove diagnosi ogni anno.
Costituiscono un vasto ed eterogeneo gruppo di disturbi, spesso con andamento cronico ed esito invalidante e nella metà dei casi compaiono già in età pediatrica. Oggi si conoscono circa 10.000 tipi di malattie rare: fibrosi cistica, lipodistrofia, SLA sono solo alcune di esse, le più conosciute.
Rare ma numerose e con un forte impatto
I numeri sono quindi tutt’altro che piccoli, soprattutto se si tiene presente che dietro ciascun “caso raro” c’è una persona reale, spesso giovane, con il suo vissuto di difficoltà quotidiane, che condivide con i familiari e il caregiver.
Le patologie rare infatti:
- comportano spesso un ritardo nella diagnosi tra la comparsa dei sintomi e la scoperta della malattia, in quanto spesso sono scambiate per qualcosa di più comune, con disagi e ripercussioni sul benessere psicofisico di una persona;
- hanno esigenze diverse non solo da malattia a malattia, ma da paziente a paziente, poiché si possono manifestare in modo sempre diverso e quindi non sono standardizzabili;
- comportano spesso alti costi per la cura, poiché alla terapia farmacologica principale si accompagnano altri necessari trattamenti dettati dal complesso quadro clinico del paziente;
- sono poco diffuse, per cui la ricerca, attuata prevalentemente dalle case farmaceutiche, ha tempi lunghi per alti costi di attivazione;
- sono fonte di disagio sociale, limitando il paziente in molte attività quotidiane, dalla scuola, al lavoro, dalle amicizie alle attività sportive;
- richiedono un continuo adeguamento del trattamento nel tempo, perché oggi molti pazienti con malattie rare raggiungono l’età adulta, quindi le terapie iniziali si possono rivelare via via non più adatte.
A Milano un convegno dedicato alle malattie rare
Il panorama delle malattie rare in Italia è stato il focus dell’incontro, svoltosi il 20 ottobre 2022 a Palazzo Pirelli a Milano, “Gestione Integrata della persona affetta da patologia rara e famiglie coinvolte”.
L’appuntamento, con la partecipazione della stessa Regione Lombardia, ha messo in relazione medici e docenti universitari, tra cui la professoressa Marta Mosca, Responsabile dell’Unità Operativa di Reumatologia Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa, il professor Gaetano Pietro Bulfamante, Professore in Anatomia Patologica, Università degli Studi di Milano e Direttore SC di Anatomia Patologica e Patologia Molecolare Toma Advanced Biomedical Assays, il prof. Renato Mantegazza, neurologo e Direttore Dipartimento Ricerca e Sviluppo Clinico, Neurologia 4, Neuroimmunologia e Malattie Neuromuscolari dell’Istituto Nazionale Neurologico Carlo Besta, con il settore della ricerca genetica importante nella identificazione delle malformazioni congenite, e con il terzo settore, impegnato nelle gestioni domiciliari, per il quale è intervenuta la dottoressa Fiammetta Fabris, CEO ItaliAssistenza, società da sempre attiva su questo comparto con programmi assistenziali.
La moderazione è stata affidata alla Presidentessa della Federazione UNIAMO – Federazione Italiana Malattie Rare Onlus – Annalisa Scopinaro, che ha discusso con gli interlocutori portando le esigenze dei pazienti nel difficile percorso della patologia.
Gli esperti si sono confrontati sulla necessità di sensibilizzare le istituzioni e l’opinione pubblica sui bisogni concreti dei pazienti e delle rispettive famiglie, investendo nella ricerca e nella formazione del personale medico e infermieristico.
Un obiettivo in perfetta rispondenza con quanto affermato nel Testo Unico Malattie Rare (Legge n. 175 del 10 novembre 2021), che ribadisce la necessità di ottimizzare la presa in carico, il percorso diagnostico e tutta l’assistenza socio-sanitaria, dall’ospedale, al territorio, al domicilio, creando una sinergia efficace tra pubblico e privato per rispondere alle esigenze del paziente e della sua famiglia.
Quali sono le sfide più urgenti?
In questo scenario, le istituzioni hanno il compito di mantenere alta l’attenzione sulle malattie rare, coinvolgendo la popolazione generale e la comunità medica e scientifica. Come emerso in occasione del convegno milanese, infatti, tutti hanno diritto in uguale misura ad accedere al percorso diagnostico e alle cure, anche in presenza di patologie poco diffuse.
Per questo occorre investire in ricerca e formazione, ma anche creare sinergie efficaci tra il Sistema Sanitario Nazionale e le realtà della sanità privata.
A breve sarà pubblicato il bando ministeriale per il finanziamento di progetti di ricerca rivolto ai presìdi della Rete regionale delle malattie rare, con fondi già stanziati dalla precedente legislatura.
Questi gli obiettivi:
- proporre progetti monocentrici o in collaborazione tra di loro;
- incrementare le conoscenze sulle malattie rare e sulle relative cure;
- sviluppare metodiche innovative per la diagnosi e lo studio delle malattie rare;
- migliorare l’appropriatezza diagnostica e terapeutica, consentendo un utilizzo più razionale delle risorse;
- valorizzare tutti i tipi di patologie croniche;
- stimolare il confronto tra professionisti, supportando in modo particolare i medici di medicina generale che svolgono un ruolo essenziale nella diagnosi;
- investire nei laboratori e nelle analisi genetiche;
- fornire informazioni potenzialmente utili a orientare le scelte del Servizio Sanitario Regionale;
- valutare l’impatto assistenziale dell’attuale organizzazione regionale in tema di malattie rare;
- proporre modelli di integrazione tra presìdi della Rete regionale malattie rare e strutture territoriali.
Presa in carico e gestione a domicilio
Rispetto ai punti sui quali sarà necessario lavorare in modo sinergico tra pubblico e privato nell’immediato futuro, tuttavia, emergono diverse criticità, evidenziate anche nel recente incontro presso la Regione Lombardia.
Nel caso dei pazienti con malattie rare è stato sottolineato come queste siano sempre più spesso croniche, il che comporta un allungamento della vita media, ma anche la comparsa di problematiche secondarie correlate alla patologia o alla continuativa assunzione del farmaco, che devono essere trattate per alleviare il percorso clinico.
Il paziente quindi può essere seguito in ospedale per la somministrazione della cura oppure a domicilio: questa seconda soluzione prevede numerosi vantaggi, infatti spostando dall’ospedale a casa il trattamento delle persone con malattia rara, è possibile mettere in atto un’adeguata presa in carico, con la corretta somministrazione della terapia, sempre in collegamento con il centro medico che ha in carico il paziente.
Non solo, la domiciliarità delle cure permette di ampliare le prestazioni di supporto, ad esempio con sedute di fisioterapia o psicoterapia.
Su come avviene la presa in carico della malattia rara e la gestione del paziente a domicilio, a Milano la dottoressa Fiammetta Fabris, CEO della home care company ItaliAssistenza, è intervenuta portando l’esperienza della società nel settore dei Patient Support Programs: “Le persone si sentono sempre più dei malati quando entrano in ospedale”, ha evidenziato Fabris, ribadendo come sia essenziale la gestione del paziente con malattia rara a domicilio, per assicurare l’aderenza terapeutica.
Il contesto intimo e privato della propria casa, infatti contribuisce al miglioramento della qualità della vita, anche dal punto di vista psicologico e sociale, sia per il paziente che per i suoi famigliari. Un ruolo fondamentale in questo approccio terapeutico è quello dei programmi di supporto al paziente (PSP), costruiti su misura, personalizzabili e adattabili, che permettono un supporto a 360 gradi a casa.
I vantaggi dei Patient Support Programs per le malattie rare
I PSP, legati al farmaco, garantiscono un’efficace presa in carico del paziente con malattia rara a domicilio. Questi programmi consentono di seguire adeguatamente la terapia, essenziale per il controllo della patologia e per una buona qualità della vita. Grazie alla personalizzazione dei Patient Support Programs, infatti, anche attraverso la possibilità di intervento di un infermiere a domicilio, la somministrazione farmacologica avviene in modo corretto e regolare, raggiungendo un’aderenza terapeutica superiore al 90%, a fronte di percentuali italiane molto più basse.
Anche gli aspetti psicologici sono importanti. La gestione della malattia nel proprio ambiente domestico aumenta la fiducia delle persone, dona sicurezza, motiva i pazienti a proseguire nel loro percorso, dà sollievo alla famiglia intera.
In particolare, nel caso dei bambini (20 casi su 100 malati rari) la gestione a domicilio contribuisce a farli sentire bimbi “come tutti gli altri” e aiuta i genitori supportandoli, sia dal punto di vista pratico che psicologico. Questo è un aspetto fondamentale per il raggiungimento di una buona qualità della vita e il mantenimento di un tono alto dell’umore, che in molti casi permette, ad esempio, ai bambini di poter riprendere la scuola e agli adulti il proprio lavoro.
Spesso basta anche solo un supporto educazionale legato alla somministrazione del farmaco per garantire aderenza terapeutica e presidio della patologia.
Il modello dei Patient Support Programs: la sinergia efficace tra medici e provider
Con i Patient Support Programs il paziente con patologia rara è seguito e monitorato costantemente grazie alla sinergia tra il medico del centro e il PSP provider: una rete efficace che, integrata con le possibilità offerte oggi dalla telemedicina, porta numerosi vantaggi. Le potenzialità di questo modello sono letteralmente esplose a seguito della pandemia.
Le persone con malattie rare, infatti, sono anche pazienti fragili e immunodepressi, per i quali la cura presso il proprio domicilio dona maggiore sicurezza, poiché diminuisce il rischio di stress, i disagi legati alle attese, le infezioni nosocomiali. Infine, nell’approccio alle malattie rare è essenziale il continuo confronto con le associazioni dei pazienti.
Come evidenziato da Fiammetta Fabris, anche nell’esperienza di ItaliAssistenza, infatti, il dialogo costante tra portavoce dei malati, clinici, provider e aziende Pharma, con il fondamentale supporto della telemedicina, permette di progettare e mettere in campo Patient Support Programs efficaci, sicuri e affidabili.
Le ricadute positive per il Servizio Sanitario Nazionale
Naturalmente, l’impiego dei PSP nella gestione delle malattie rare comporta ripercussioni positive anche sul Servizio Sanitario Nazionale. Vediamone alcune.
- Permette di evitare i ricoveri impropri, che aumentano globalmente le attese.
- Offre la possibilità di controllare costantemente la malattia, evitando riacutizzazioni che spesso richiedono l’accesso all’ospedale, con tutti i disagi correlati.
- Contribuisce a maggiori conoscenze degli effetti dei farmaci per le malattie rare, sostenendo quindi anche la ricerca scientifica.
- Favorisce lo scambio di conoscenze e competenze che possono essere condivise con la comunità scientifica, ampliando il patrimonio comune di dati, studi ed esperienze sulle malattie rare.
I Patient Support Programs sono esempi di un modello virtuoso di presa in carico del paziente, che unisce domiciliarità delle cure, digitalizzazione e ricerca. Questo risponde agli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che intende portare nuove energie al processo di trasformazione del nostro Paese, promuovendo e supportando la digitalizzazione anche e soprattutto in ambito sanitario.
Il PNRR destina 4 miliardi di euro all’obiettivo di rendere la casa il primo luogo di cura. L’assistenza domiciliare nel nostro Paese è sempre esistita, ma troppo spesso ha funzionato a macchia di leopardo o è addirittura rimasta incompiuta. L’obiettivo è far diventare il domicilio un vero luogo di cura, anche avvalendosi delle possibilità offerte dalla telemedicina.
Nello specifico, il PNRR destina oltre 15 miliardi di euro alla Missione Salute, per appianare le disparità territoriali nell’erogazione dei servizi, un’inadeguata integrazione tra servizi ospedalieri e quelli territoriali e sociali e per ridurre i tempi di attesa. È una nuova opportunità che la sanità italiana deve saper cogliere, per rafforzare la prevenzione e i servizi sanitari sul territorio, modernizzare e digitalizzare il sistema sanitario e garantire equità di accesso alle cure, nell’ottica di un nuovo approccio One-Health, ovvero una sanità connessa in rete, a beneficio di tutti.